Azione Francescana

Attualità

Quando la morte non ha bandiera

Yemen, Sudan, Siria e i conflitti dimenticati che continuano a mietere vittime

Ginevra, maggio 2025 – Davanti al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, lo yemenita Luai Ahmed ha denunciato una realtà scomoda: alcuni conflitti monopolizzano la scena globale, mentre altri, pur provocando centinaia di migliaia di vittime, scivolano nel silenzio. “Perché a nessuno importa quando muoiono mezzo milione di yemeniti?”, ha chiesto con voce rotta. La sua domanda risuona oggi con forza, ricordando che la sofferenza non ha gerarchie.

Yemen: la più grande crisi umanitaria del mondo

Il conflitto nello Yemen, iniziato nel 2015, ha trasformato il Paese in uno dei luoghi più martoriati del pianeta. Secondo l’ONU, già nel 2021 il numero dei morti diretti e indiretti del conflitto superava le 377.000 vittime. Oltre 18,2 milioni di persone hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria, e 2,2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 500.000 in condizioni gravi (UNICEF). Gli Houthi, movimento armato sostenuto dall’Iran, hanno speso ingenti risorse per missili e droni – alcuni lanciati anche contro Israele – mentre la popolazione continua a soffrire la fame.

Sudan: un Paese in frantumi

Dal 2023, il Sudan è precipitato in un conflitto civile tra l’esercito regolare e le milizie paramilitari delle RSF. Più di 150.000 morti in meno di due anni (stime ONG locali e agenzie internazionali). Oltre 12 milioni di sfollati interni e quasi 25 milioni di persone in insicurezza alimentare grave (ONU). Episodi recenti: il bombardamento del mercato di Omdurman (febbraio 2025) con 56 morti e la strage di Kadugli (febbraio 2025) con 44 vittime civili, tra cui numerosi bambini. Nonostante queste cifre, il Sudan resta relegato in poche righe delle cronache estere.

Siria: una guerra infinita

La Siria vive dal 2011 una guerra civile che ha ormai assunto i contorni di un conflitto senza fine. Le stime parlano di oltre 500.000 morti e milioni di sfollati. Intere città sono ridotte in macerie; ospedali, scuole e infrastrutture di base sono stati devastati. La crisi dei rifugiati siriani resta tra le più gravi della storia recente.

Sud Sudan: la guerra invisibile

Il Sud Sudan, già segnato da decenni di instabilità, vive una nuova escalation di violenze. A marzo 2025, gli scontri a Malakal hanno causato 180 morti e la fuga di 125.000 persone. A maggio, un bombardamento contro un ospedale di Medici Senza Frontiere a Fangak ha provocato 7 morti e 27 feriti: un attacco diretto a un presidio sanitario vitale. Queste notizie raramente raggiungono le prime pagine, ma riflettono un Paese in ginocchio.

Altri conflitti dimenticati

Oltre al Medio Oriente e al Corno d’Africa, vi sono altri scenari di guerra che restano ai margini della cronaca: Myanmar/Birmania, Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso), Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Mozambico. Questi teatri di guerra raramente dominano i dibattiti internazionali, sebbene le vittime siano numerosissime.

La denuncia di Ahmed: indignazione selettiva

“Perché quando gli arabi uccidono milioni di arabi nessuno batte ciglio? Dove sono le proteste, dove l’indignazione?” ha domandato Ahmed a Ginevra. La sua provocazione non è solo politica, ma morale: la vita di ogni vittima, che sia in Yemen, Sudan o Siria, ha lo stesso valore di quella che cade in altri conflitti più visibili.

Conclusione: oltre la protesta, la giustizia della memoria

Le cifre confermano che Yemen, Sudan, Siria e Sud Sudan vivono tragedie epocali. Eppure, le loro bandiere raramente sventolano nei cortei, né i loro nomi dominano le aperture dei telegiornali. L’intervento di Luai Ahmed non è un atto di protesta sterile, ma un richiamo universale: riconoscere le vittime dimenticate e dare dignità a ogni vita spezzata. Perché la morte, quando non ha bandiera, rischia di non avere neppure memoria.

Quando la morte non ha bandiera

Yemen, Sudan, Siria e i conflitti dimenticati che continuano a mietere vittime

Ginevra, maggio 2025 – Davanti al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, lo yemenita Luai Ahmed ha denunciato una realtà scomoda: alcuni conflitti monopolizzano la scena globale, mentre altri, pur provocando centinaia di migliaia di vittime, scivolano nel silenzio. “Perché a nessuno importa quando muoiono mezzo milione di yemeniti?”, ha chiesto con voce rotta. La sua domanda risuona oggi con forza, ricordando che la sofferenza non ha gerarchie.

Yemen: la più grande crisi umanitaria del mondo

Il conflitto nello Yemen, iniziato nel 2015, ha trasformato il Paese in uno dei luoghi più martoriati del pianeta. Secondo l’ONU, già nel 2021 il numero dei morti diretti e indiretti del conflitto superava le 377.000 vittime. Oltre 18,2 milioni di persone hanno oggi bisogno di assistenza umanitaria, e 2,2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, di cui 500.000 in condizioni gravi (UNICEF). Gli Houthi, movimento armato sostenuto dall’Iran, hanno speso ingenti risorse per missili e droni – alcuni lanciati anche contro Israele – mentre la popolazione continua a soffrire la fame.

Sudan: un Paese in frantumi

Dal 2023, il Sudan è precipitato in un conflitto civile tra l’esercito regolare e le milizie paramilitari delle RSF. Più di 150.000 morti in meno di due anni (stime ONG locali e agenzie internazionali). Oltre 12 milioni di sfollati interni e quasi 25 milioni di persone in insicurezza alimentare grave (ONU). Episodi recenti: il bombardamento del mercato di Omdurman (febbraio 2025) con 56 morti e la strage di Kadugli (febbraio 2025) con 44 vittime civili, tra cui numerosi bambini. Nonostante queste cifre, il Sudan resta relegato in poche righe delle cronache estere.

Siria: una guerra infinita

La Siria vive dal 2011 una guerra civile che ha ormai assunto i contorni di un conflitto senza fine. Le stime parlano di oltre 500.000 morti e milioni di sfollati. Intere città sono ridotte in macerie; ospedali, scuole e infrastrutture di base sono stati devastati. La crisi dei rifugiati siriani resta tra le più gravi della storia recente.

Sud Sudan: la guerra invisibile

Il Sud Sudan, già segnato da decenni di instabilità, vive una nuova escalation di violenze. A marzo 2025, gli scontri a Malakal hanno causato 180 morti e la fuga di 125.000 persone. A maggio, un bombardamento contro un ospedale di Medici Senza Frontiere a Fangak ha provocato 7 morti e 27 feriti: un attacco diretto a un presidio sanitario vitale. Queste notizie raramente raggiungono le prime pagine, ma riflettono un Paese in ginocchio.

Altri conflitti dimenticati

Oltre al Medio Oriente e al Corno d’Africa, vi sono altri scenari di guerra che restano ai margini della cronaca: Myanmar/Birmania, Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso), Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Mozambico. Questi teatri di guerra raramente dominano i dibattiti internazionali, sebbene le vittime siano numerosissime.

La denuncia di Ahmed: indignazione selettiva

“Perché quando gli arabi uccidono milioni di arabi nessuno batte ciglio? Dove sono le proteste, dove l’indignazione?” ha domandato Ahmed a Ginevra. La sua provocazione non è solo politica, ma morale: la vita di ogni vittima, che sia in Yemen, Sudan o Siria, ha lo stesso valore di quella che cade in altri conflitti più visibili.

Conclusione: oltre la protesta, la giustizia della memoria

Le cifre confermano che Yemen, Sudan, Siria e Sud Sudan vivono tragedie epocali. Eppure, le loro bandiere raramente sventolano nei cortei, né i loro nomi dominano le aperture dei telegiornali. L’intervento di Luai Ahmed non è un atto di protesta sterile, ma un richiamo universale: riconoscere le vittime dimenticate e dare dignità a ogni vita spezzata. Perché la morte, quando non ha bandiera, rischia di non avere neppure memoria.

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