Azione Francescana

AttualitàFrancescanesimoGiustizia e PaceNews dalla Provincia

Il Centro Missionario dei Frati Minori di Puglia e Molise e la GMM: intervista a fra Francesco Cicorella

In occasione della 99^ Giornata Mondiale della Missione e alla luce del messaggio per questa GMM dal tema “Missionari di speranza tra le genti”, diffuso il 25 gennaio scorso da Papa Francesco, abbiamo raccolto le parole del responsabile del Centro Missionario della Provincia del Frati Minori di Puglia e Molise, fra Francesco Cicorella, che ha risposto alle nostre domande direttamente da Nairobi, dove sta trascorrendo un periodo di missione, anche per dare avvio a nuove progettualità.

Il Messaggio sottolinea che la Chiesa è chiamata a essere missionaria e a camminare con il Signore lungo le strade del mondo. Nella realtà del Centro Missionario della Provincia, come viene vissuto questo camminare insieme verso le periferie geografiche ed esistenziali?
“Camminare con il Signore sulle strade del mondo” implica innanzitutto l’esserci materialmente su una strada, e così sposarne tutte le dinamiche di provvisorietà, precarietà, tutte le stanchezze e gli entusiasmi. Il Centro Missionario da diversi anni, ormai, non si accontenta semplicemente di raccogliere risorse per i vari progetti, ma si impegna a rendersi presente in quelle terre attraverso la presenza di molti giovani, adulti, famiglie, per condividere ogni aspetto della vita delle persone che incontriamo. Non offriamo soluzioni preconfezionate, non risolviamo problemi, ma cerchiamo di farci carico di un pezzettino delle storie dei poveri, mettendoci sulla stessa strada.

Nel Messaggio si parla di “missionari di speranza” che portano consolazione e sono dono di vita alle genti. Come Centro Missionario, come provate a tradurre la speranza in azioni concrete verso i poveri e i popoli che incontrate?

La speranza non può essere considerata un atteggiamento di semplice ottimismo, ma è credere, con le scelte e le azioni, ad una promessa di vita contro una realtà che trasuda morte. 
Pertanto, in un contesto come quello della baraccopoli di Kawangware in Kenya, l’annuncio della speranza può consistere, per esempio, nella costituzione di una cooperativa di donne abusate, per riscattarsi attraverso il lavoro professionale di sartoria: oggi producono uniformi scolastiche per varie scuole di Nairobi.

Il Messaggio afferma, citando la Gaudium et spes, che il cristiano è chiamato a condividere gioie e speranze, tristezze e angosce soprattutto dei poveri. In che modo il Centro Missionario condivide questi sentimenti con le comunità locali che incontra?

Il Centro Missionario non può prescindere dai poveri, che sono un vero e proprio luogo teologico, ovvero, nei poveri si incontra la presenza reale di Cristo, per tale ragione la priorità nelle azioni, nelle scelte di perseguire i progetti, va in direzione dei poveri. Papa Leone, nella “Dilexi te”, ribadisce che l’amore per i poveri non è un tema periferico né una scelta pastorale tra le altre, ma il nucleo stesso del Vangelo, quindi è l’unico modo per rimanere fedeli a Gesù e al suo progetto di vita. Concretamente, tutto questo vuol dire che, se dobbiamo sostenere dei ragazzi per lo studio, per esempio, chi sosteniamo? I più bravi, i più volenterosi, o piuttosto quelli che non hanno i mezzi e le opportunità? Per noi, rispondere a questa domanda è fondamentale. Questa è una maniera non retorica, a mio avviso, di condividere le gioie, le speranze, le fatiche dei poveri.

Quando guardi all’orizzonte della“stagione evangelizzatrice” auspicata dal Messaggio del Papa, considerato anche il tempo storico in cui viviamo, quali sfide si prospettano e quali segnali di speranza riesci già a cogliere?
Le sfide che si prospettano nell’orizzonte dell’evangelizzazione sono da cogliere nella dimensione più comunitaria della vita delle persone. Nel nostro occidente, figlio del narcisismo del “self made man”, abbiamo perso la dimensione del Popolo, quando invece la nostra fede ha una matrice fortemente comunitaria. Possiamo imparare molto dal Sud del mondo. Penso per esempio, all’Africa centrale, dove ci confrontiamo con la filosofia “Ubuntu” (io sono perché noi siamo), la quale sostiene che la felicità personale si può realizzare solo nella felicità dell’altro. L’azione missionaria, quindi, deve avere questo respiro.

Il Messaggio invita i fedeli a diventare “artigiani di speranza” e trasmettere la speranza ricevuta. Nelle comunità della Provincia e tra i giovani e i laici che il Centro Missionario intercetta, con quali strumenti formativi invitate ad “agire” questa speranza?
Inoltre, come Centro Missionario avete attivato delle collaborazioni? Quali progetti o iniziative si stanno delineando per i prossimi mesi?
Nelle nostre giornate di formazione, si dà priorità all’ascolto dei testimoni, allo studio del territorio e della cultura che si andrà a incontrare. Ci si forma, inoltre, allo stare insieme, che può sembrare una banalità, ma nel nostro contesto autoreferenziale credo sia fondamentale. Non manca la parte più spirituale (biblica, in maniera particolare), perché nessuna proposta può essere efficace se non è riempita di Spirito Santo. La sola tecnica, la sola strategia non sono sufficienti, ogni azione è limitata se non si ha questo sguardo di Amore sul mondo.
Inoltre, i progetti che abbiamo messo su in questi anni credo che rispecchino questa immagine di “artigiani di speranza”. Tra questi vi è il progetto di sartoria nella baraccopoli di Kawangware, a Nairobi (Kenya). Sempre in questa baraccopoli abbiamo un progetto per medici e infermieri che si coinvolgono nell’organizzare due-tre volte l’anno un campo medico. Un altro progetto vede la collaborazione di docenti italiani con docenti kenyoti: i primi, in alcuni periodi dell’anno svolgono lezioni curriculari nella primary school di questo slum.
Nella missione in Argentina, invece, stiamo pensando ad una presenza di accompagnamento alle fasce giovanili, attraverso dei laboratori sulla gestione dei conflitti, sulla non-violenza attiva, e sull’autoderminazione.
In Romania, seguiamo il cammino di un centro diurno per minori e in Burundi proponiamo un’esperienza di prossimità verso alcuni villaggi che necessitano di piccole infrastrutture.

Come direttore del Centro Missionario e sulla scorta delle parole che Papa Leone ha rivolto ai fedeli per la Giornata Missionaria Mondiale, quale messaggio vorresti far arrivare alle comunità di Puglia e Molise?
Sulla scia del messaggio di papa Leone, rilancio il senso di responsabilità che ogni cristiano deve avere nei confronti dei missionari. Riscopriamo quello che don Lorenzo Milani, grande pedagogista e innamorato dei poveri, proponeva come faro educativo, il suo “I care”, ossia “Mi importa”, “Mi prendo cura”. Ogni essere umano che soffre è affar mio, e attraverso la presenza dei missionari si possono aprire strade per permettere alle persone di resistere e respirare.

Il Centro Missionario dei Frati Minori di Puglia e Molise e la GMM: intervista a fra Francesco Cicorella

In occasione della 99^ Giornata Mondiale della Missione e alla luce del messaggio per questa GMM dal tema “Missionari di speranza tra le genti”, diffuso il 25 gennaio scorso da Papa Francesco, abbiamo raccolto le parole del responsabile del Centro Missionario della Provincia del Frati Minori di Puglia e Molise, fra Francesco Cicorella, che ha risposto alle nostre domande direttamente da Nairobi, dove sta trascorrendo un periodo di missione, anche per dare avvio a nuove progettualità.

Il Messaggio sottolinea che la Chiesa è chiamata a essere missionaria e a camminare con il Signore lungo le strade del mondo. Nella realtà del Centro Missionario della Provincia, come viene vissuto questo camminare insieme verso le periferie geografiche ed esistenziali?
“Camminare con il Signore sulle strade del mondo” implica innanzitutto l’esserci materialmente su una strada, e così sposarne tutte le dinamiche di provvisorietà, precarietà, tutte le stanchezze e gli entusiasmi. Il Centro Missionario da diversi anni, ormai, non si accontenta semplicemente di raccogliere risorse per i vari progetti, ma si impegna a rendersi presente in quelle terre attraverso la presenza di molti giovani, adulti, famiglie, per condividere ogni aspetto della vita delle persone che incontriamo. Non offriamo soluzioni preconfezionate, non risolviamo problemi, ma cerchiamo di farci carico di un pezzettino delle storie dei poveri, mettendoci sulla stessa strada.

Nel Messaggio si parla di “missionari di speranza” che portano consolazione e sono dono di vita alle genti. Come Centro Missionario, come provate a tradurre la speranza in azioni concrete verso i poveri e i popoli che incontrate?

La speranza non può essere considerata un atteggiamento di semplice ottimismo, ma è credere, con le scelte e le azioni, ad una promessa di vita contro una realtà che trasuda morte. 
Pertanto, in un contesto come quello della baraccopoli di Kawangware in Kenya, l’annuncio della speranza può consistere, per esempio, nella costituzione di una cooperativa di donne abusate, per riscattarsi attraverso il lavoro professionale di sartoria: oggi producono uniformi scolastiche per varie scuole di Nairobi.

Il Messaggio afferma, citando la Gaudium et spes, che il cristiano è chiamato a condividere gioie e speranze, tristezze e angosce soprattutto dei poveri. In che modo il Centro Missionario condivide questi sentimenti con le comunità locali che incontra?

Il Centro Missionario non può prescindere dai poveri, che sono un vero e proprio luogo teologico, ovvero, nei poveri si incontra la presenza reale di Cristo, per tale ragione la priorità nelle azioni, nelle scelte di perseguire i progetti, va in direzione dei poveri. Papa Leone, nella “Dilexi te”, ribadisce che l’amore per i poveri non è un tema periferico né una scelta pastorale tra le altre, ma il nucleo stesso del Vangelo, quindi è l’unico modo per rimanere fedeli a Gesù e al suo progetto di vita. Concretamente, tutto questo vuol dire che, se dobbiamo sostenere dei ragazzi per lo studio, per esempio, chi sosteniamo? I più bravi, i più volenterosi, o piuttosto quelli che non hanno i mezzi e le opportunità? Per noi, rispondere a questa domanda è fondamentale. Questa è una maniera non retorica, a mio avviso, di condividere le gioie, le speranze, le fatiche dei poveri.

Quando guardi all’orizzonte della“stagione evangelizzatrice” auspicata dal Messaggio del Papa, considerato anche il tempo storico in cui viviamo, quali sfide si prospettano e quali segnali di speranza riesci già a cogliere?
Le sfide che si prospettano nell’orizzonte dell’evangelizzazione sono da cogliere nella dimensione più comunitaria della vita delle persone. Nel nostro occidente, figlio del narcisismo del “self made man”, abbiamo perso la dimensione del Popolo, quando invece la nostra fede ha una matrice fortemente comunitaria. Possiamo imparare molto dal Sud del mondo. Penso per esempio, all’Africa centrale, dove ci confrontiamo con la filosofia “Ubuntu” (io sono perché noi siamo), la quale sostiene che la felicità personale si può realizzare solo nella felicità dell’altro. L’azione missionaria, quindi, deve avere questo respiro.

Il Messaggio invita i fedeli a diventare “artigiani di speranza” e trasmettere la speranza ricevuta. Nelle comunità della Provincia e tra i giovani e i laici che il Centro Missionario intercetta, con quali strumenti formativi invitate ad “agire” questa speranza?
Inoltre, come Centro Missionario avete attivato delle collaborazioni? Quali progetti o iniziative si stanno delineando per i prossimi mesi?
Nelle nostre giornate di formazione, si dà priorità all’ascolto dei testimoni, allo studio del territorio e della cultura che si andrà a incontrare. Ci si forma, inoltre, allo stare insieme, che può sembrare una banalità, ma nel nostro contesto autoreferenziale credo sia fondamentale. Non manca la parte più spirituale (biblica, in maniera particolare), perché nessuna proposta può essere efficace se non è riempita di Spirito Santo. La sola tecnica, la sola strategia non sono sufficienti, ogni azione è limitata se non si ha questo sguardo di Amore sul mondo.
Inoltre, i progetti che abbiamo messo su in questi anni credo che rispecchino questa immagine di “artigiani di speranza”. Tra questi vi è il progetto di sartoria nella baraccopoli di Kawangware, a Nairobi (Kenya). Sempre in questa baraccopoli abbiamo un progetto per medici e infermieri che si coinvolgono nell’organizzare due-tre volte l’anno un campo medico. Un altro progetto vede la collaborazione di docenti italiani con docenti kenyoti: i primi, in alcuni periodi dell’anno svolgono lezioni curriculari nella primary school di questo slum.
Nella missione in Argentina, invece, stiamo pensando ad una presenza di accompagnamento alle fasce giovanili, attraverso dei laboratori sulla gestione dei conflitti, sulla non-violenza attiva, e sull’autoderminazione.
In Romania, seguiamo il cammino di un centro diurno per minori e in Burundi proponiamo un’esperienza di prossimità verso alcuni villaggi che necessitano di piccole infrastrutture.

Come direttore del Centro Missionario e sulla scorta delle parole che Papa Leone ha rivolto ai fedeli per la Giornata Missionaria Mondiale, quale messaggio vorresti far arrivare alle comunità di Puglia e Molise?
Sulla scia del messaggio di papa Leone, rilancio il senso di responsabilità che ogni cristiano deve avere nei confronti dei missionari. Riscopriamo quello che don Lorenzo Milani, grande pedagogista e innamorato dei poveri, proponeva come faro educativo, il suo “I care”, ossia “Mi importa”, “Mi prendo cura”. Ogni essere umano che soffre è affar mio, e attraverso la presenza dei missionari si possono aprire strade per permettere alle persone di resistere e respirare.

Cerca